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Tumore mammario: un test identifica le pazienti a rischio trombosi

Dott.ssa Judith Brand - Karolinska Institutet
Dott.ssa Judith Brand – Karolinska Institutet

Uno studio svedese ha suggerito che un test genetico possa identificare le pazienti con tumore mammario ad alto rischio di tromboembolia venosa. Si tratta del primo studio sulla popolazione degli effetti sia individuali che combinati di chemioterapia e suscettibilità genetica sul rischio di tromboembolia venosa.

Nello studio, che ha preso in esame 4.261 pazienti, le donne che sono state sottoposte a chemioterapia sono andate incontro ad un incremento del rischio a breve termine di tromboembolia, e questo rischio era ulteriormente incrementato dalla suscettibilità genetica, come affermato dall’autrice Judith Brand del Karolinska Institutet di Stoccolma.

Il rischio inoltre è particolarmente elevato nelle pazienti anziane. Le pazienti oncologiche, specialmente se ricevono chemioterapia, presentano un incremento del rischio di questa complicazione che comporta morbidità e mortalità significative, incrementando anche i costi sanitari e le ulteriori complicazioni a lungo termine quali recidive della trombosi e riduzione della qualità della vita.

Dato che si tratta di uno dei tumori più comuni, il tumore al seno rappresenta uno dei principali contribuenti al carico tromboembolico oncologico ed ai costi sanitari associati. L’incidenza delle tromboembolie varia fra le pazienti con tumore mammario: essa è particolarmente elevata subito dopo la diagnosi, quando la paziente riceve la chemioterapia, ma il 50-60% dei casi ha connotati genetici.

Stable atherosclerotic plaque

La tromboprofilassi di routine non è consigliata con la chemioterapia, per via del rischio di emorragie e dell’incidenza relativamente bassa delle tromboembolie, che ammonta all’1-2%. Identificare le pazienti ad alto rischio potrebbe aiutare ad individualizzare il trattamento per coloro che potrebbero trarre beneficio dalla profilassi. Lo strumento proposto consiste in un punteggio di rischio basato su 9 geni, il cui risultato viene approssimato in base alle caratteristiche della paziente, del tumore e del trattamento.

Prima del suo impiego clinico, comunque, esso dovrà essere convalidato, e sarà necessario anche valutare i benefici e la sicurezza della tromboprofilassi nelle pazienti ad alto rischio. Uno dei vantaggi dei marcatori genetici consiste nel fatto che essi non variano in risposta ad infiammazione, chirurgia e stadio clinico, come potrebbero fare i parametri clinici e di laboratorio.

Il 93% delle pazienti con il maggior tasso di rischio genetico presentava la mutazione del fattore V Leiden (FVL), che causa resistenza alla proteina C attivata. Queste mutazioni sono responsabili del 20% circa dei casi di tromboembolia, e potrebbero raddoppiarne il rischio nelle pazienti oncologiche. I test della mutazione FVL sono disponibili in commercio, e potrebbero risultare adeguati per l’identificazione dei pazienti ad alto rischio di tromboembolia, ma non potrebbe distinguere i vari livelli di rischio.

fonte: Clin Cancer Res online 2016

  • Articolo pubblicato:26 Dicembre 2016
  • Tempo di lettura:3 minuti di lettura