I tassi di mastectomia controlaterale profilattica (CPM) sono aumentati nelle donne con tumore mammario in fase precoce, anche in assenza di indicazioni cliniche, ma essi risultano molto meno elevati se le pazienti riportano che il proprio chirurgo abbia sconsigliato questi interventi. Lo ha accertato un’indagine che ha riscontrato un forte interesse nella CPM da parte delle pazienti, ed un impiego sostanziale di questa pratica anche nel caso in cui difficilmente la paziente ne avrebbe tratto un qualche beneficio.

Secondo l’autore Reshma Jagsi dell’Università del Michigan, la frequenza della CPM è sostanziale anche in popolazioni diversificate, e le conoscenze delle pazienti in questo contesto sono scarse. In assenza di un parere contrario esplicito da parte del chirurgo, anche le pazienti senza elevati rischi genetici di un secondo tumore mammario primario finiscono con l’optare per la CPM con una frequenza elevata in modo allarmante.
Si tratta però di consulenze molto difficili, in quanto le pazienti sono spesso e comprensibilmente terrorizzate dall’idea di avere un tumore mammario, e sono altamente motivate a fare tutto il possibile dal proprio punto di vista. Per la paziente potrebbe non essere necessariamente intuitivo il motivo per cui rimuovere entrambe le mammelle non dovrebbe migliorare la sopravvivenza e, pertanto, spiegare questo concetto necessita di tempo e risorse.
Alcuni chirurghi peraltro temono che tentare di guidare la paziente verso un approccio meno aggressivo possa allontanarle o dare l’impressione che non si rispetti la loro prospettiva. Il medico infatti attribuisce un grande valore nel rispetto delle preferenze della paziente, e potrebbe essere molto difficoltoso trovare un giusto equilibrio tentando di informare e guidare la paziente stessa in una fase tanto stressante e vulnerabile.
fonte: JAMA Surg online 2016, pubblicato il 21/12